Il Vangelo non ci permette di essere famosi
di Miriam D’Agostino (Sr Myriam)
Il Vangelo non ci permette di essere famosi, acclamati, di avere le guardie del corpo, non un camerino dove cambiarci, un palcoscenico dal quale recitare.
Il Vangelo non ci permette di essere uomini e donne di successo che hanno bisogno di fare la conta dei proseliti, di sventolare bandiere al nostro passare; un Vangelo così è un vangelo frainteso, accomodato, applaudito ma non è il Vangelo di Cristo.
Gesù non ha dato a nessuno il potere di gestire le folle, numeri esorbitanti di uomini e donne, 1.000, 10.000, 1.000.000, non ha mai detto ha nessuno “dovete essere tutti come me” come omologazione ad una moda passeggera che oggi detta Legge e domani non si sa che fine fa.
Mi rifiuto di credere che la Parola di Vita si fermi ad osservare l’applausometro, lo share quanto sale o quanto scende.
Marco apre questa pericope con due parole che nella traduzione corrente sono state semplificate, tralasciando però il reale contenuto di ciò che invece l’evangelista voleva intendere.
Al v.1 gli apostoli si “congregarono” non si riunirono, qual è la differenza? In greco congregarono si scrive Synagontai, termine che vuole indicare non solo uno stato di cose, ma anche il contenuto di tale stato, del perché si sta insieme.
Ovvero, attribuiscono all’opera che hanno fatto una prospettiva fortemente legata alla mentalità sinagogale, proiettando su Gesù il loro bisogno di sicurezza, di successo, di garanzia sociale.
Stare insieme a Gesù, essere suoi discepoli senza capire che la storia sta cambiando, che le coordinate che fin qui hanno utilizzato per leggere il mondo non stanno più in piedi, ma anzi sono completamente ribaltate, non da un insegnamento dottrinale e teorico, ma dall’esperienza dell’incontro con la persona di Gesù.
I discepoli sono convinti che la liberazione, la salvezza, il Regno di cui Gesù ha parlato è esattamente ciò che loro si aspettano che accada, qualcosa di razionalmente comprensibile secondo le uniche categorie conosciute, quelle della sinagoga.
Si congregano con la convinta presunzione di aver capito tutto, fatto tutto, fatto bene, secondo norma prescritta, e sono addirittura convinti di averlo fatto in nome di Gesù. Errore tanto lontano nel tempo, ma anche tanto vicino a noi.
“Quello che avevano insegnato…”, e qui si vede fino a che punto li ha portati questa presunta convinzione di stare nel giusto, hanno insegnato, ma cosa? E in nome di chi? Gesù non gli aveva chiesto di insegnare niente, si sono arrogati un diritto che Gesù non aveva loro chiesto.
Alla richiesta di incontrare ogni tipo di persona, senza limitarsi ai circoli ebraici, alla richiesta di entrare in contatto, nella ferialitá, nelle case, nell’ordinarietà, i discepoli hanno fatto altro, invece di ascoltare hanno iniziato a fare comizi verso coloro che credevano meritori di ricevere tale messaggio.
Il Vangelo non ha bisogno di maestri, ma di testimoni autorevoli che sono sempre alla scuola del Maestro, ogni volta che nel bene o nel male ci arroghiamo il diritto di sostituirci al Maestro per avere un pubblico di adulatori, siamo ben certi che qualsiasi abito o colletto indossiamo, siamo lontani dal vivere il Vangelo.
Ma Gesù non risponde alla presunzione, con la presunzione, all’arroganza con l’arroganza, non fa alcun accenno a ciò che hanno fatto, ma li ri-chiama, così come aveva fatto al prima volta con Simone e Andrea, “venite”, come se gli rinnovasse la chiamata, gli ricordasse qual è la loro originaria vocazione, siete stati chiamati ad essere discepoli, non maestri, siete stati chiamati alla sequela, perché da soli non sapete dove andare, siete come “pecore senza pastore”.
Le luci della ribalta vi hanno abbagliato e avete perso di vista il cammino, la direzione, non avete saputo incontrare lo sguardo dei vostri fratelli.
Questa domenica anche a noi rinnoviamo gratuitamente la stessa chiamata alla sequela, prepariamoci a questo incontro “disarmati dalla commozione dello sguardo di Gesù sui nostri disorientamenti”.
Buona domenica a tutti!
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