L’impegno di sostare nel naturale fallimento che ci ri-umanizza
di Miriam D’Agostino (Sr Myriam)
Impegnativo sostare in relazione a questa Parola così vera, così autentica, così essenziale, così carica di umanità, di fragilità, di disincanto e di disillusione.
Impegnativo essere coinvolti nel profondo da ciò che tendenzialmente ci viene naturale evitare, nascondere, o almeno non rendere pubblico: il fallimento.
Ancor più impegnativo, responsabile e vitale trovare in questa Parola la notizia buona del mattino di Pasqua della nostra domenica.
Siamo al termine della prima sezione dell’evangelo di Mc, in quella che potremmo senza dubbio definire un’appendice, un testo di chiusura e di riapertura, un passo di confine, che pur stando ai margini ci aiuta a definire i tratti di ciò che fin qui ci è stato rivelato di quest’uomo chiamato Gesù, e credo ci possa aiutare, almeno come primo approccio al testo, provare a immaginare di non sapere come andrà a finire questa vicenda umana, provare a non leggere con le categorie dell’happy end che crediamo di aver compreso.
Spesso è dopo un’esperienza finita male, che abbiamo la possibilità della ripartenza, del cambio di “rotta”.
Gesù fallisce a casa sua, tra i suoi familiari, tra quelli che hanno vissuto con lui, tra coloro che lo hanno aiutato a crescere, i primi con i quali ha intessuto relazioni sociali, proprio lì dove ti dovrebbero conoscere di più, eppure non si ferma, assume il dolore e la tristezza che nascono da questa esperienza, per dirigersi verso il nuovo, l’inedito, il rischioso, verso villaggi pagani bisognosi di salvezza.
Fino ad adesso ovunque andasse lo seguivano le folle, folle di malati, di emarginati, di poveri, ma anche di facoltosi, scribi, farisei, giudei osservanti, fino ad adesso ovunque ha viaggiato ha incontrato folle che sono accorse a lui, che ne hanno atteso la venuta, che hanno preparato l’arrivo, che lo hanno chiamato, e invece, arrivi a casa tua e niente, solo silenzio.
Non un silenzio sano e fecondo, ma un mutismo pieno di sospetto, di indifferenza, di pregiudizio, di etichettature, di allontanamento, di “ non voglio avere a che fare niente con te”. L’umanità profonda di questo passo evangelico sta tutta qui, nell’avvicinarsi a Gesù come Uomo-Dio, che non parte dalla sua onnipotenza, Gesù non ci rivela mai un Dio Onnipotente, Onnisciente, Onnipresente, ma Autorevole, Sapiente e Prossimo, affinché noi ci rieduchiamo a vivere cosi le nostre relazioni
Buona domenica a tutti!!
L’impegno di sostare nel naturale fallimento che ci ri-umanizza
Commenta per primo