Il corpo da accogliere
di Miriam D’Agostino (Sr Myriam)
Da una lettura superficiale di questo evangelo, per altro “fatto a pezzi” per la circostanza odierna, corriamo il rischio di credere che Gesù abbia celebrato la prima Messa, così come avviene oggi nelle nostre chiese, e finiamo per ridurre il nostro credo tra quattro mura.
La solennità che oggi celebriamo è nata come risposta ad una eresia medioevale nella seconda metà del 1200, che non credeva nella reale presenza di Gesù nell’eucarestia, e il fatto che sia una risposta in auto difesa e non una proposta in uscita in un tempo storico ben preciso dovrebbe renderci più chiare le idee su tanti perché e per come.
Il primo giorno, il giorno primo, il più importante, quello che precede, il giorno autorevole, principale, che sta all’inizio dei giorni, questo giorno sempre primo, adesso e al mattino di Pasqua, che porta con se non solo una durata o una qualità temporale, cronologica e cronistica, ma un contenuto vitale che ci tiene tutti dentro questa stessa storia, con la nostra storia.
Perché? Tutti abbiamo avuto un “primo giorno” da ricordare, da celebrare, di cui fare memoriale, perché da lì è cambiato o poteva cambiare qualcosa, un tempo che ha segnato le nostre vite rendendole nuove, semplici e complesse allo stesso tempo, la nascita di un figlio, la perdita del lavoro, la scoperta della propria vocazione, cambiare casa, città, una nuova amicizia, il giorno della laurea, insomma se guardiamo bene alla Luce la nostra ferialitá ci rendiamo conto che proprio lì, paradossalmente abbiamo segni visibili e tangibili di giorni da contemplare, da gustare, fino in fondo, fino all’ultima goccia.
Quante volte non sappiamo dove andare, correndo il rischio di affidarci a segnali che ci depistano la vita, piuttosto che ai segni di vita che la orientano, facendo diventare la nostra preghiera, le nostre liturgie, solo una pretesa di risposte, soluzioni, rimedi che possibilmente non richiedano fatica o impegno; presentiamo noi la risposta, quella che vorremmo, quella che ci rassicura, le nostre intenzioni, e invece poi scopriamo che Lui è lì, che amorevolmente ci ascolta e ci “spiazza”, non dovete fare niente “la sala è grande, pronta e arredata”.
Noi ci ostiniamo a voler fare qualcosa per…, abituati alla logica del compromesso, del do ut des, e invece, è tutto solo da accogliere, condividere, gustare, “mangiate e bevete”, non ci vengono chiesti voli pindarici o chissà quali impossibili opere, mangiate e bevete per aderire, per assaporare, per gustare di me, di questo corpo, di questa Parola fatta carne, vera, veritiera, di giustizia, di pace, di amore, di benevolenza, carne che dona vita e che necessita di essere condivisa.
Non è un pasto al fast food, consumato in fretta, davanti ad uno schermo o ad una pagina di giornale, non è una cena qualsiasi, ma è la Cena, fatta insieme, intima, lunga, preparata, che richiede semplicemente e non banalmente di essere accolta.
“Perché tu possa mangiare la Pasqua”, “perché noi possiamo…” è lì che si consuma davvero il cibo eucaristico della Parola e del Pane, in questo passaggio dal singolare al plurale, i discepoli dicono “tu” Gesù li richiama al “noi”. Il cibo eucaristico è tale solo se è condiviso, di comunione, di compassione, senza emarginazioni, esclusioni, il primo a riceverne un pezzo sarà proprio Giuda, quello che noi conoscendo la storia abbiamo già tagliato fuori, anche dalla nostra lettura, e invece no la comunione non ammette esclusive ed esclusioni.
E allora credo che l’augurio di questa domenica sia proprio questo, quello di poterci incontrare in quel noi che da soli non sappiamo dire, ma che ci viene offerto durante la Cena come ad amici per imparare a gustare della Vita nella sua pienezza in tutti i suoi “primi giorni”.
Buona domenica!
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